domenica 14 febbraio 2010

L’11 febbraio è stata la 18° giornata mondiale del malato, la data coincide anche con l'anniversario delle apparizioni di Lourdes, dove nel 1858 Maria apparve per la prima volta a Bernadette presso la grotta di Massabielle Lourdes.

E’ importante ricordare che  questa ricorrenza è l’occasione per uno slancio più generoso al servizio dei malati e di quanti se ne prendono cura chinandosi sulle ferite del corpo e dello spirito di tanti malati che si incontrano sulle strade del mondo, nell’esistenza di ognuno.

L’esperienza della malattia e della sofferenza può diventare scuola di speranza, non dobbiamo scansare la sofferenza, fuggire davanti al dolore. E’ necessario aumentare la nostra capacità di accettare la tribolazione e di maturare con essa, di trovare un senso, di vedere l’amore anche nella malattia.
<< Veniamo alle persone di sostegno, alle prove e alle tribolazioni che affrontano; cambiare i propri orari, le proprie abitudini, accompagnare dal medico, aiutare con le medicine e così via risulta essere la cosa più facile.
La parte più difficile e più insidiosa per la persona di sostegno è il tumulto interiore che comincia ad accumularsi a livello emozionale e psicologico. Questo tumulto ha due aspetti, uno privato e l’altro pubblico.
Nel primo cominci a renderti conto che, per quanti problemi personali tu possa avere, essi scompaiono rispetto a quelli della persona cara che ha una malattia che può essere fatale. Perciò per mesi smetti semplicemente di pensare ai tuoi problemi, li escludi. Dopo qualche mese di questa situazione la persona di sostegno comincia a capire il fatto che i suoi problemi non scompaiono. Se sei un estroverso cominci a esplodere nei momenti più inappropriati, fai scenate … Se sei introverso, ci sono momenti in cui vorresti ucciderti, se sei estroverso vorresti uccidere il malato… In ogni caso, la morte è sospesa nell’aria e si insinuano collera, risentimento, amarezza, insieme al terribile senso di colpa perché provi questi neri sentimenti, naturali e normali, date le circostanze.
Il modo migliore per gestirli è PARLARNE; l’unica soluzione è PARLARNE.
Con questa decisione la persona incorre nel secondo aspetto, quello pubblico. Il problema pubblico è che nessuno è interessato ai problemi cronici, giorno dopo giorno, a parte gli amici più stretti, tutti cominciano ad evitarti, perché la malattia è sempre sospesa come una nuvola nera.
Il luogo migliore per esprimere le proprie difficoltà è un gruppo di sostegno per coloro che assistono un malato, dove poter dire le cose che le persone beneducate non dicono in pubblico e alla persona cara: “Chi pensa di essere per comandarmi così? – Sento di aver perso il controllo della mia vita – Spero che si sbrighi a morire” ecc.
Il fatto è che sotto questi sentimenti negativi, c’è sempre una grande quantità d’amore che non può venire in superficie finché collera, risentimento e amarezza ostruiscono la strada. GIBRAN dice: “L’odio è amore affamato”. Nei gruppi di sostegno c’è molto odio espresso, ma soltanto perché sotto di esso c’è molto amore, amore affamato; altrimenti non odieresti la persona, non te ne importerebbe affatto.
Cosa fare? 
1.     imparare la tenera arte di “dire bugie compassionevoli”;
2.    imparare che il compito principale di una persona di sostegno abbastanza valida, è quello di essere una “spugna emozionale”. Il compito è di esserci, respirare il suo dolore, la sua paura, la sua sofferenza. Divenire una spugna. >>
Fine prima parte. Liberamente tratto dal libro: “Grazia e grinta” la malattia mortale come situazione di crescita - di Ken Wilber.